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domenica 29 maggio 2011

Domenica di ballottaggio

Mattina, né presto né tardi. Passo da Oscar, il mio edicolante di fiducia, per i quotidiani.
Un tale, sulla sessantacinquina, sta commentando con Oscar il match di ieri sera (Barca-ManUtd). Avanzando arditi paragoni con quello, non ancora giocato, di questa sera tra Inter e Palermo. 

Si volge verso di me cercando approvazione. Per dissuaderlo, taglio corto e gli dico, mah, io la partita non l'ho vista e non vedrò nemmeno quella di questa sera (che è la verità, peraltro). Mi osserva perplesso e fa, gliela spiego. 
Al 35° del primo tempo passa di lì una vecchia amica e mi salva. 

venerdì 27 maggio 2011

La relazione pericolosa tra innovazione e quadri normativi

Non è che si possono sempre scrivere spiritosaggini. A volte tocca anche trattare di argomenti frivoli. Per questo motivo (ma non solo per questo) oggi scriverò di Cloud Computing, tema che esula abbastanza dai contenuti abituali di questo blog.
Ne scrivo, sebbene tra i clienti della mia agenzia vi sia l'azienda che per prima ha parlato di cloud. E ne scrivo un po' perché è un tema caldo, un po' perché in questo calore vedo delle dinamiche che mi consentiranno di avanzare qualche considerazione di carattere più generale su questo Paese e non solo su questo.

Il cloud sta sparigliando le carte tra i fornitori tradizionali di informatica: Non so e non è importante sapere se sia davvero innovazione epocale, ma questo è il trend e lo sarà ancora per un bel pezzo; come dimostra il fatto che si dicono fornitori cloud anche aziende che ne sono l'antitesi. E che ogni settimana si tengono almeno quattro convegni sull'argomento. Dove almeno metà dei relatori, sembra l'abbiano inventato loro.

Ma non divaghiamo. Ora avviene che il Garante della Privacy Francesco Pizzetti stia intervenendo sia sulla stampa sia di persona in molti di questi convegni per mettere in guardia contro i rischi del cloud computing e rammentare come esso non sia conforme alla normativa vigente. In sostanza, pare di capire, il problema è che la legge richiede che il cliente sappia con precisione dove sono conservati i suoi dati. Il che è contrario alla logica della nuvola "pura" che prevede la distribuzione e la duplicazione dei dati su una molteplicità di server. E dove la distribuzione geografica dei server medesimi è, almeno in teoria, garanzia di maggiore sicurezza e disponibilità dei dati.

Per illustrare i "rischi del cloud" il garante Pizzetti, consigliato non si sa da chi, propone anche immagini pittoresche del tipo "cosa succederà ai vostri dati se sono conservati in una server farm collocata su una piattaforma in mezzo al mare che viene attaccata dai pirati?". E per pirati non intende gli hacker, ma proprio quelli con la fascia nera sull'occhio, l'uncino e la bandana.
Purtroppo, da quel che vedo, (così, giusto per aggiungere un tocco polemico fine a se stesso) quando partecipa ai convegni, Pizzetti racconta tutte queste cose, boccia il cloud computing su tutti i fronti o quasi, fa anche nomi e cognomi e, concluso il suo intervento, non è che ascolta le relazioni  di chi l'argomento lo conosce. No, egli raccoglie gli applausi, rimette le carte nella borsa e se ne va. Pronto a ripetersi al convengo successivo.

Dove voglio arrivare? Non lo so, ma di sicuro il rapporto tra quadro normativo esistente e innovazione (o anche solo novità) è intrigante.
L'innovazione deve essere piegata alle esigenze di un quadro normativo magari perfettamente adeguato fino a cinque minuti prima, quando l'innovazione non era ancora stata pensata?
O deve essere riposta nel cassetto in attesa che venga sviluppato un quadro normativo idoneo?
Sarà mai sviluppato un idoneo quadro normativo in assenza di una innovazione da regolamentare?
Il quadro normativo esistente è sacro, intoccabile e sicuramente il migliore possibile?
Qual è il lasso di tempo ragionevole per sviluppare un quadro normativo prima che l'innovazione diventi vecchiume?

Ho la sensazione che l'avversione alle novità, in questo paese non sia affatto una novità

Un tempo (forse anche adesso, chissà?) il codice della strada recitava che alla giuda di biciclette, ciclomotori, motociclette, motocarri e trattori, il conducente doveva indicare l'intenzione di svoltare o di arrestarsi col braccio teso, verso l'esterno per la svolta, verso l'alto per l'arresto.
Negli anni '70 furono messi in commercio gli indicatori di direzione (le frecce, per capirci) come quelli che conosciamo oggi, da montare sui motocicli che non ne erano forniti, cioè tutti, con l'eccezione forse di alcuni modelli di produzione non italiana.
Chi in quegli anni ha posseduto un motorino provvisto di frecce ricorderà che i vigili ci fermavano, e multavano, in quanto l'apparato non era previsto dal codice. Un codice perfettamente adeguato agli anni immediatamente precedenti, quando le frecce non esistevano. Attenzione: la contravvenzione era comminata non perché il codice le proibisse. No, lo era perché il codice non le prevedeva. Insomma, "il codice non lo prevede ergo non può esistere".

Motociclismo, il mensile, dedicava pagine su pagine alle lettere dei lettori e a denunciare l'assurdità della situazione. Fino a che qualcuno si rese conto che multare i portatori di frecce era una sciocchezza. Pertanto l'atteggiamento delle forze dell'ordine cambiò: "concedo che tu possa montare le frecce e non ti multo. Te le lascio anche utilizzare, tuttavia per cambiare direzione dovrai continuare a sporgere il braccio teso verso l'esterno". Questo, infatti, prescriveva il codice. Una innovazione che una qualsiasi mente elementare avrebbe accolto e reso obbligatoria in meno di cinque minuti (e non è difficile capire perché)  impiegò anni solo per essere tollerata.

Does it sound familiar?