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giovedì 12 gennaio 2012

E' un lavoro sporco ma qualcuno deve farlo

Il giovedì, verso le 5PM c'è la call settimanale. Un'ora, più o meno, per raccontare quel che si è fatto, quel che non si è fatto, perché e quando. E per ricevere aggiornamenti, se ce ne sono: cose del tipo "stiamo rivedendo tutta la strategia di prodotto", "sta per uscire la nuova release", "qui piove da tre giorni e lì?", "a febbraio verrà in Italia per circa 45 minuti il vice capo del marketing". A volte, anche per farsi venire delle idee. Quelle informazioni che in un modo o nell'altro ci permettono di fare il nostro lavoro, insomma.
Un'ora alla settimana, Alla seconda settimana anche un criceto tonto si rende conto che, se il mondo non si fosse oramai bevuto il cervello, una trentina di minuti ogni due o tre settimane sarebbe più che sufficiente  e rimarrebbe anche del tempo per cazzeggiare un po'. Ma tant'è, viviamo nell'era delle comunicazioni di massa e quindi sembra sia irrinunciabile produrre una gran massa di comunicazioni. Che, ahimè, non so lì, ma qui da me non producono reddito. Le call, insomma, stanno diventando un problema sociale. Al pari delle droghe e dell'alcolismo. Forse pure di più.

Una manciata di agili suggerimenti del tutto aggratis su come recuperare quei 90 minuti ogni due settimane? Pronti.
  1. Il report che ti ho mandato per email, leggilo prima della call (te l'ho mandato appunto per quello e ci ho messo del tempo, mica si è generato da solo) e se qualcosa non ti è chiaro ne parliamo. Anziché leggermelo in diretta, che io lo so già cosa c'è scritto.
  2. Ascolta (almeno con quel minimo di attenzione che dedicheresti all'hostess quando spiega le procedure di sicurezza prima del decollo) e prendi due appunti quando parlo, così la settimana prossima non mi chiederai di nuovo la stessa cosa. Anziché rispondere alle email, che in viva voce si sente benissimo che stai picchiettando sui tasti come fosse l'ultimo giorno che hai a disposizione una tastiera.
  3. Focalizzati su quel che è veramente importante. Anziché stare lì a frantumare i cabbasisi su dettagli ininfluenti (lo sappiamo tutti che è una prima draft, se c'è un Verdana e non un Arial ma chissenefrega).
  4. Se durante la call precedente mi hai promesso che mi avresti mandato un qualcosa che dovevi produrre tu, producilo e mandamelo. Anziché dimenticartene (perché non hai preso appunti e chattavi postavi twittavi) costringendomi a richiedertelo nuovamente.
E soprattutto. Se settimana prossima sei fuori ufficio dal martedì in poi, ti prego, non scrivermi che la call della settimana prossima la faremo lunedì mattina. Ma cosa minchia sarà cambiato in nove-dieci ore lavorative???
- Per questa settimana passiamo?
- Nononononono. Bisogna farla.
Che a tua volta ne riferirai in un report "fatta call settimanale con l'agenzia, discusso questo questo e questo" che spedirai a qualcuno che non lo leggerà, ti chiederà invece una call, nel corso della quale lo leggerà in diretta...... E mentre tu risponderai, lui twitterà, chatterà, posterà....


Aggiornamento
Qualcuno mi ha chiesto perché call e non telefonata.
Mo' te spiego.
Poniamo che io in questo momento afferro il telefono e compongo il tuo numero. Potresti rispondere, e allora ci diremmo delle cose, oppure no e allora lascerei un messaggio in segreteria. Oppure riproverei più
tardi.
Questa è una telefonata.

Se invece tu mi spedisci una mail chiedendomi se possiamo sentirci domani dalle 11 alle 11.45 (alcuni, non fidandosi della mail, telefonano) io ti rispondo che sì possiamo tu mi mandi l'invito sul Calendar io lo accetto domani mattina tra le 10 e le 10.30 ti scrivo per chiedere se è tutto confermato tu mi rispondi che sì ma alle 10.58 mi riscrivi dicendo che bisogna posticipare di mezz'ora che hai una riunione improvvisa io ti rispondo che alle alle 11.45 ho una riunione io non improvvisa già schedulata e proprio per quello ti avevo detto che alle 11 ero disponibile rifissiamo per le 12.30, ecco, questa è una call.

Sono dunque (almeno) tre gli elementi che distinguono una call da una telefonata
  1. L'effetto sorpresa (del tutto assente nella call)
  2. Nel corso di una telefonata, a differenza di una call, è possibile discutere e prendere decisioni giacché l'interlocutore non ha avuto modo di predisporre sulla scrivania smartphone, tablet, notebook, cerbottane e in generale tutti quei dispositivi che gli consentono di postare  twittare  swishare chattare e infastidire il prossimo anziché dialogare con l'altro. Va da se' che, capito l'andazzo, tutti tendono ad essere sia interlocutore, sia altro.
  3. La call comporta una gran perdita di tempo e un gran traffico di bit, prima e durante. Spesso anche dopo.
  4. La telefonata è un'attività di servizio (a meno che lavori in un call center) che come dice il nome serve in funzione di qualcosa che devi fare e che è la tua vera occupazione. La call è l'occupazione. Serve in quanto tale. Si autoalimenta, si morde la coda è una mosca cieca. Un po' come la laurea in filosofia per andare ad insegnare filosofia a gente che insegnerà filosofia a gente che insegnerà filosofia....



lunedì 9 gennaio 2012

My two cents

La fase uno è completata e più o meno digerita.  Dicono che serva per la ripresa economica, ma a me 'sta ripresa sta sembrando tutto meno che economica.
Ma tant'è, nei prossimi giorni il Consiglio di Facoltà metterà mano alla fase due. Essendo uno che ama insegnare agli altri come dovrebbero fare il loro mestiere, chiaro che mi seccherebbe che qualcuno pensasse che sono il solo in Italia a non avere la sua ricetta per uscire dalla crisi.
Ce l'ho, è chiaro che ce l'ho. Da tempi non sospetti. Da tempi talmente non sospetti che non ho idea se possa servire a uscire dalla crisi, ma certamente aiuterebbe a rendere questo Paese lievemente più moderno. O quantomeno una dignitosa via di mezzo tra un Paese moderno e Paperopoli.

In più la mia ricetta, sarebbe a costo zero, il che di questi tempi non guasta.

Abolizione di tredicesima e quattordicesima mensilità. 
Calma, non nel senso di cancellarle, anche se come datore di lavoro questa opzione avrebbe un suo fascino. Quello che intendo è semplicemente di ridistribuire il salario annuale su dodici mensilità, innovazione che avrebbe anche una sua logica giacché ormai da parecchio tempo in tutto il mondo occidentale si è stabilito che in un anno ci debbano essere dodici mesi. E vaglielo a spiegare a un inglese o un americano che in Italia le mensilità sono 14. Si sforza, ma fatica a capirlo.

A che servirebbe? Per cominciare a finirla con l'idea paternalstico-medievale che qualcuno (il datore di lavoro nel caso specifico) debba trattenere parte dei denari del dipendente per consegnarglieli, come fosse una mancetta, due volte l'anno, per fare i regali di Natale e portare la famiglia in villeggiatura.
Direi che i tempi sono maturi per consentire alle persone di disporre del loro denaro come preferiscono, di recarsi in vacanza quando desiderano e di acquistare ciò che vogliono quando vogliono.

Abolizione del TFR
Ridistribuito in busta paga pure lui. Il TFR era stato introdotto, mi dicono, affinché i lavoratori, alla fine di una vita di sofferenze, potessero finalmente acquistare la casetta in cui godersi serenamente l'inevitabile rincoglionimento.
Ma oramai la maggior parte degli italiani la casa l'acquista a 30 anni e ben pochi - nel settore privato - trascorrono l'intera vita lavorativa nella stessa azienda. E comunque, ai prezzi di oggi,  con quaranta o poco più mensilità medie, per quanto rivalutate, vedo difficile riuscire ad acquistare anche solo un bilocale.

Non avrebbe più senso ricevere anche questa mensilità in busta paga e, magari, alleggerire il mutuo acceso a 30 anni? Le aziende si dispiacciono? Echissenefrega. Peraltro, per tutte le PMI avere in carico del denaro che viene rivalutato automaticamente più del rendimento che potrebbero ottenere da qualunque investimento, è più che altro un fastidio.

Pensione
Il modello deve essere contributivo? E allora che lo sia, ma davvero.
Hai versato 100 e la tua aspettativa di vita è di 80 anni? Se decidi di smettere di lavorare a 50 riceverai i tuoi 100 (più le rivalutazioni meno i costi di gestione) spalmati su 30 anni. Se preferisci ritirarti a 60 li riceverai spalmati su vent'anni. E così via.
Volendo strafare, azzarderei anche di lasciare libero il lavoratore di scegliere se versare il 40% (più o meno: il 9% a carico suo, il 29 a carico del datore di lavoro) del suo salario lordo all'Inps o gestirselo come meglio crede. Che so, acquistando BOT al 6% di rendimento, azioni, appartamenti, auto d'epoca, panetterie, criceti o qualsiasi idea gli passi per la testa: a 40.000 euro lordi l'anno, pari a circa 1900 euro netti mensili per 14 mensilità e a un costo pe ril datore di lavoro di quasi 55.000, sono oltre 15.000 l'anno quelli versati all'Inps. Più di 600.000 in 40 anni.

Basta sostituti d'imposta
Non sono convinto che questa sarebbe a costo zero. Però sarebbe divertente.
Perché non versare al lavoratore dipendente tutto l'intero salario lordo che gli spetta, senza alcun tipo di trattenuta, né previdenziale né fiscale?
Sarà poi lui, il dipendente, a versare all'erario le tasse dovute.
Vantaggi? Primo, il lavoratore avendo la consapevolezza della differenza tra quanto percepisce e quanto gli resta, sarà più incazzato e più vigile sul modo in cui i SUOI denari verranno spesi.
Secondo, il lavoratore dipendente medio la smetterà di scassare i marroni con la fastidiosa tiritera di "noi cittadini onesti che paghiamo le tase fino all'ultimo euro". Lo dimostri, una volta messo nelle condizioni di potere essere "disonesto".

Deduzioni
Per quale motivo a me, come agenzia, non è possibile né conveniente lavorare in nero o pagare i fornitori in nero? Semplice, perché i miei clienti sono aziende per le quali rappresento un costo deducibile. Così come i miei fornitori mi devono rilasciare fattura affinché il relativo costo sia deducibile.
Non serve un genio allora per capire che se anche ai privati cittadini fosse data facoltà di portare in deduzione determinate spese per beni e servizi, tali cittadini sarebbero invogliati a richiedere fattura o scontrino. Se sulle stesse spese fosse possibile pure scaricare l'Iva, o addirittura questa venisse azzerata, saremmo alla perfezione.

Per due anni, poniamo, è possibile dedurre spese di ferramenta e panetteria. Per altri due, idraulici e lavasecco.
Prendiamo il caso di un idraulico con bassa propensione all'emissione di fattura e un cliente che paga un'aliquota del 27%. Per un intervento da 100 euro (121 con l'Iva) l'idraulico (poniamo anche lui con aliquota del 27%) tenderà a proporre 121 con fattura o 90 senza; il cliente accetta perché risparmia 31. L'idraulico va a nozze perché "guadagna" 17 (pagando il 27% di tasse su 100 gliene rimarrebbero 73, senza fattura gliene rimangono 90)

Ma se il costo dell'idraulico fosse deducibile e privo di Iva, il cliente pagante 100 risparmierebbe 27 euro di tasse. Che sarebbero però pagate dall'idraulico.

Danno per lo stato: zero. L'Iva non la incamera nemmeno ora e 27 euro di imposta li riceve comunque.
Guadagno per lo stato: zero. Nell'immediato. Ma se dopo due anni durante i quali ha emesso fatture per 100.000 euro l'idraulico torna a presentare dichiarazioni patetiche, se ne accorge anche Bambi che c'è qualcosa che non funziona.