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martedì 17 aprile 2012

Sapida storia gastronomica del mondo

Di tanto in tanto mi trovo a immaginare come sia successo che l'uomo a un certo punto del suo cammino evolutivo abbia scoperto che alcune cose - non ancora classificabili come alimenti - potessero essere mangiate, diventando così alimenti a tutto tondo.

Immagino, ad esempio, che chi ha provato la prima volta a mangiare un uovo (col guscio?) dovesse proprio essere alla frutta. Per ovvie ragioni. Per non parlare di chi per primo ha assaggiato il lampone.

Anche chi per primo ha assaggiato il carciofo non doveva essere messo molto meglio. Di sicuro doveva essere molto ma molto motivato. Un affare provvisto di spine con strati e strati di foglie esterne immangiabili. E una volta raggiunte quelle più morbide, non è che ci fosse da sfondarsi. Raccoglierlo, prepararlo e masticarlo costava più energia di quanta ne rendesse. E se questo può anche essere comodo oggi, un tempo era una bella fregatura.

Se mi riesce relativamente facile immaginare che l'uomo possa avere pensato di abbattere un cervo (o di prendere a sassate una faraona) per nutrirsene, coi vegetali le cose mi si complicano: quale cortocircuito mentale lo avrà spinto a osare con la patata o la carota? E a stabilire che la parte che stava sottoterra fosse più utile di quella sopraterra? Con tutte le complicazioni legate al fatto che c'è stato un tempo in cui l'uomo ancora non aveva capito di poter utilizzare il fuoco a suo beneficio. Per dire, la patata addentata cruda fa, e faceva, veramente schifo. Significa che l'uomo, che non era fesso, una volta scoperto il fuoco si deve essere ricordato di quando, chissà quanto tempo prima, aveva addentato il tubero. Ipotizzando che, chissà, buttandolo nella brace qualcosa di buono lo si poteva anche ricavare. Purtroppo non era ancora stata inventata la pellicola d'alluminio.

Insomma, anche solo stabilire che una parte del vegetale fosse da conservare e una parte da buttare, non deve essere necessariamente stato un percorso così lineare come potrebbe sembrare a noi, oggi. Da cosa sarà dipesa la scelta? Dai gusti dell'epoca, dalla geografia e da chissà cos'altro.
Per dire, a Isabel, la ragazza sudamericana che tempo fa ci aiutava in casa (contributi Inps regolarmente versati, anzi, probabilmente per errore pure qualcosa in più), un giorno lasciammo un sedano da pulire, non so se per farci un soffritto o l'insalata. A sera trovammo in frigo una ciotola colma di foglioline. I gambi li aveva buttati.

Oggi pensavo al caviale.
Cibo da pescatori del Caspio, gente dura che fa un mestiere ancora più duro e bisogna di calorie. Ma perché ingurgitare quelle sferette nere e viscide che, ammettiamolo, fanno anche loro piuttosto senso (e se non costassero centinaia di euro all'etto verrebbero probabilmente offerte come mangime per i polli)? Semplice, se eri un pescatore del Caspio, dello storione buttavi via nulla, come col maiale.

Resta da capire per quale motivo ai ciccioli non abbia arriso lo stesso successo commerciale del caviale. I casi sono due.  O i pescatori del Caspio hanno usato meglio il marketing. O gli allevatori di maiali della padania si sono accontentati del prosciutto crudo, senza pensare che avrebbero potuto fare molti più denari coi ciccioli (con adeguato posizionamento).

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