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mercoledì 9 dicembre 2009

La sindrome della cassiera

Me ne ero quasi dimenticato dell'esistenza di questa sindrome.
Quand'ecco che un episodio, che ora non mi va di raccontare, me lo ha riportato alla mente.
In cosa consiste la sindrome? Perché me ne ero quasi dimenticato?
Cominciamo dalla seconda domanda. Perché pago quasi sempre con carta di credito, che è una gran comodità.
Passiamo alla prima.
Arrivi alla cassa, generalmente del supermercato. Scarrelli tutto quanto il contenuto del carrello e la cassiera trasferisce quello che fu il contenuto del carrello dall'aldiqua all'aldilà del lettore di codici a barre.
Cassiera: sono 38 euro
Cliente: mhmh (bofonchia qualcosa, e porge 2 fogli da 20 euro)
Cassiera: non ce li ha 3 euro?
Cliente: no che non ce li ho. Avessi 3 euro sarei in giro a divertirmi, non a rompermi le palle in coda al supermercato.
Ammetto che una risposta di queste tenore non è che aiuti a predisporre favorevolmente una cassiera a fine turno. Ma è probabile che anche il Cliente abbia avuto una giornata difficile e andrebbe capito.
In ogni caso, la mancanza di garbo da parte del Cliente non è condizione necessaria e sufficiente al manifestarsi della sindrome. Il dialogo tra i due potrebbe anche svilupparsi in maniera civile e l'esito finale sarebbe identico.
Cassiera: guardi bene
Cliente: davvero, non li ho, mi dispiace.
Cassiera: e adesso come facciamo?
Cliente: non lo so. Ma lei, scusi, non ce li ha 2 euro?
Cassiera: uff, si che ce li ho, ma se li do' a lei, poi rimango senza.....
Eccola, la sindrome, manifestarsi in tutto il suo splendore. Quei due euro dai quali la cassiera non si separerà mai, che difenderà costi quel che costi, se necessario facendo scudo col suo stesso corpo.
Hai voglia a ribattere... Prova a spiegarle...
Cliente: mi scusi, sa, ma lei codesti due euro li tiene lì nel cassettino per cosa? Per darli come resto, no? mica per tenerli lì a cincischiare.
Cassiera: gnegnegne
Cliente: ho capito. Ma se li tiene lì senza darli a nessuno allora è come non averli. Giusto? Quindi, averli per non averli, faccia la brava, li dia a me e non ne parliamo più. Le prometto che li tratterò bene come se fossero miei.
Cassiera: le ho detto che non posso, sennò resto senza. E lei? ma non può pagare col bancomat, lei? Qualcuno ha da cambiarmi cinque euro? (rivolta agli sventurati in coda che oramai stanno arraffando leccalecca mentine e pochetcoffi per fare cifra tonda)

Resterebbe anche un'ulteriore ipotesi. Ovvero che la cassiera quei due euro non voglia tenerli lì fine a se stessi, ma bensì per poterli dare di resto più tardi a qualcun'altro. E allora sì che girerebbero, ah se girerebbero!




lunedì 23 novembre 2009

Calgary mon amour

Calgary, oramai è risaputo, si trova nella provincia dell'Alberta (in Canada), che deve il suo nome al fatto che qui Tomba vinse due medaglie d'oro alle Olimpiadi del 1988.

Questa volta non ne hanno fatta una delle loro. Ma ne scrivo perché laggiù Armin Zoeggeler ha vinto la 46esima gara di Coppa del Mondo. Mi spiego, non è che da che esiste la Coppa ne sono state disputate 46 e Armin l'ha vinta. No, ne aveva già vinte 45 lui personalmente e ieri ha vinto la 46esima. Sesta vittoria su quella pista. .

L'ho conosciuto quest'estate a Cortona, dove era venuto per ritirare il Premio Fair Play Mecenate. E secondo me vale la definizione di Paolo Viberti, che dopo quattro giorni trascorsi a discorrere e scherzare a Cortona mi onorerei quasi di considerare amico), secondo il quale Armin è un genio assoluto (insieme con pochi altri).




sabato 21 novembre 2009

Privacy ancora Sem

Caster Semenya è stata vivisezionata - mediaticamente - per settimane.
Ora dicono che, comunque vada, a Caster Semenya non verrà revocata la medaglia d'oro mondiale negli 800. Bella notizia.

Dicono che i risultati dei due test per l'accertamento del sesso cui Caster è stata sottoposta (uno in Sudafrica prima dei mondiali e uno a Berlino) non verranno resi pubblici per rispetto della privacy dell'atleta. Fa un po' ridere ma possiamo classificarla tra le belle notizie.

Dicono anche che la Semenya potrà tornare alle gare (tra le donne) solo se accetterà di sottoporsi ad intervento chirurgico (un aiutino? non si tratta dell'asportazione delle tonsille) e se necessario anche a una cura ormonale.

Oh, per quanto mi sforzi, non riesco davvero a intuire cosa diavolo possa esserci scritto nelle relazioni accompagnatorie ai risultati dei due test. Lo giuro, non ci arrivo. Eppure mi sforzo.

venerdì 20 novembre 2009

Mica siamo arbitri

A molti i francesi stanno antipatici. A me no. Nemmeno simpatici. Ci sono. Punto.
Mi sta invece simpatico il Trap, che non a tutti lo è. Anche l'Irlanda, terra di whisky, salmone e Katherine Walsh mi è simpatica.

Quel ragazzaccio di Thierry Henry gioca nella Francia, intesa come squadra nazionale di calcio. Che se non si qualifica per i mondiali in Sud Africa, evidentemente fa brutto. Sarko e Carlà, tra l'altro, hanno già prenotato i biglietti e dare loro un dispiacere è pericoloso. Son vendicativi.
E' quindi un sano patriottismo che, a giochi ormai quasi fatti (e non favorevoli ai bleu) ha spinto la manina di Henry verso la palla e, con qualche tocco intermedio, nella porta irlandese (la palla, non la manina).
Per carità, sarò mica io che critico il patriottismo. Ma anche fosse stato più prosaicamente il desiderio di fare una gita in Sud Africa, non è che lo si può condannare. E' l'istinto animalesco per il gol. O ce l'hai o non ce l'hai. E se ce l'hai, essendo appunto animalesco, non è che lo puoi controllare.

Ma quello che viene dopo sì che lo si può controllare. L'esultanza e gli abbracci come se fosse un gol vero, ad esempio.
Poi però si è pentito, Henry. Ha detto che gli dispiace, lo ha ammesso anche con i giocatori avversari e si è scusato via Twitter.
"Non sono io l'arbitro", ha detto e scritto. Su questo non c'è dubbio, erano anche vestiti diversi. E visto quel che è successo aggiungerei anche un meno male.

"Non sono io l'arbitro". Cerco di capire. Cosa significa?
Colpa dell'arbitro che non ha visto?
Il fine giustifica i mezzi?
La posta in gioco è alta e chissenefrega se per raggiungere l'obiettivo si gioca sporco?
Poiché l'arbitro non ha visto è lecito esultare?
Se l'arbitro non vede, allora il gol è regolare?
Rigore è quando arbitro fischia, diceva Boskov.

Poi vaglielo a spiegare ai ragazzini, come diceva il Trap, che c'è una cosa che si chiama fair play.
Il messaggio qui è uno solo, forte e chiaro: vincere. Vincere a tutti i costi.
Ma soprattutto mi agghiaccia la logica perversa che sta dietro a un'affermazione come "Non sono io l'arbitro".
Se ho capito bene.
Quello che in autostrada supera la coda in corsia d'emergenza può sempre dire "Non sono io la stradale".
Quello che non ti rilascia la fattura può dire "Non sono io la finanza".
Quello che si fa raccomandare al concorso può dire "Non sono io la commissione".
Quello che si mette le dita nel naso prima di preparati il panino può dire "Non sono io la Asl".
Quello che viaggia senza biglietto può dire "Non sono io il controllore".

Insomma, d'ora in poi basterà non essere qualcun altro per poter fare tutto. Oh!
Quello che il calcio, ohhhh yeah.

giovedì 19 novembre 2009

Per creare dei bamboccioni come si deve bisogna educarli da piccoli

Calgary, Alberta, Canada, Nord America.
Ci risiamo. Ritocca parlarne.
Amo il Canada, nutro un certo affetto per Calgary e rispetto i suoi abitanti, alcuni mi sono simpatici e due o tre addirittura amici. Ma, bisogna ammetterlo, come generatori di idiozie hanno pochi concorrenti.
Come questa, pubblicata oggi sul Corriere: riassumo la questione per chi non avesse voglia di leggere l'articolo. Due avvocati, Sherri e Tom Milley, madre e padre di due futuri bamboccioni, hanno ingaggiato una lunga battaglia in tribunale affinché i due mocciosi (Spencer e Brittany: rispetterei la loro privacy, ma tanto i nomi sono già pubblici e poi è meglio conoscerli, tra qualche anno potrebbero spedire in giro curricula) non dovessero più essere sottoposti al supplizio dei compiti a casa. Dedicando tempo ed energie a reperire supposte prove scientifiche atte a dimostrare come i compiti a casa non avessero alcun effetto positivo sul'apprendimento.
Può anche darsi. D'altra parte credo che avendo due anni di tempo potrei anch'io dimostrare scientificamente che un'alimentazione comprendente più di 150 grammi di sottaceti alla settimana comporta una riduzione dell'aspettativa di vita di almeno sei mesi..

Comunque, al termine di due anni di lotta dura e senza paura i nostri due eroi sono riusciti ad ottenere l'esenzione dai compiti a casa. Non per l'intero sistema scolastico canadese, nemmeno per la scuola o la classe. Per lor due soli, i piccoli Spencer e Brittany.
Spiega fiera e finalmente serena la mamma: "È dura convincere un piccolo piagnucolante che deve imparare le tabelline".
Già! Deve essere terribile per un genitore spiegare al figlio che alcune cose vanno fatte e altre no.

La finirei anche qui, ma non prima di proporre tre domande.
  1. E se i due prodi genitori avessero dedicato una frazione del tempo speso a produrre la documentazione per stare in compagnia dei figlioli magari aiutandoli nei compiti?
  2. Come l'avranno presa i compagni di classe di Spencer e Brittany?
  3. Ma davvero convincere un piccolo piagnucolante è più duro che convincere un tribunale e un preside?
La finirei anche qui, ma non prima di avere azzardato tre risposte.
  1. Non sarebbero finiti sui giornali di tutto il mondo
  2. Non bene, probabilmente i due diventeranno i bersagli preferiti degli scherzi dei coetanei, che nel frattempo presenteranno in massa domanda al tribunale per essere adottati tutti dalla famiglia Milley.
  3. Non credo.

martedì 17 novembre 2009

Milano e i suoi loschi traffici

Tremo al pensiero che il traffico infernale che ho trovato poco fa sia la prima avvisaglia del casino prenatalizio....

martedì 3 novembre 2009

Chi rompe paga

Apprendo dalla Gazzetta di oggi che a Pechino per la Coppa del Mondo di tiro al piattello ne sono successe di tutti i colori.
Parte delle gare si sono disputate con venti centimetri di neve e temperature sotto lo zero. Non che di questo si possa incolpare gli organizzatori, ma pare che le autorità abbiano diffuso un comunicato per spiegare che trattavasi di neve artificiale. Mica che qualcuno pensi che si sono fatti cogliere impreparati. No, meglio dire che l'hanno fatto apposta, così, tanto per movimentare la giornata.

Pare inoltre che per evitare i falsi positivi - piattelli che "fumano" ma non si f(rant)umano) - i solerti organizzatori abbiano pensato bene di usare il silicone per appiccicare il sacchettino contenente la polverina ai piattelli; col bel risultato di renderli infrangibili. Non sapevano più cosa fare i poveri tiratori: le hanno provate tutte, ci saltavano sopra, li prendevano a mazzate 'sti piattelli, qualcuno addirittura a fucilate; macché, non ne volevano sapere di rompersi. Tant'è che i migliori tiratori del mondo chiudevano la gara con punteggi da esordiente.

Li capisco, però, i cinesi, C'è la crisi e sbriciolare tutti quei costosissimi piattelli deve essere sembrato loro uno spreco inutile, un autentico schiaffo alla miseria. Se si riesce a usarli due o tre volte, che male c'è?

Facciano bene attenzione gli amici tuffatori quando andranno a gareggiare in Cina. Questi, per evitare quei fastidiosi spruzzi d'acqua sugli spettatori delle prime file sono capaci di congelarvi la piscina....

lunedì 2 novembre 2009

Digitale extraterrestre

E' in onda in questi giorni la nuova serie di spot digital-terrestri che intende dimostrare al teleutente caprone quanto sia facile collegare il decoder al televisore.
Nel primo che mi è capitato di vedere, una signora non giovanissima spiegava leggiadra come connettere tutta la cavetteria necessaria e concludeva proclamando di avere - mi pare - 72 anni. Immagino il messaggio sia qualcosa del tipo "se anche una vecchia babbiona ci riesce allora è proprio facile, puoi farcela anche tu, telespettatore medio". La cosa comunque non mi era sembrata poi così carina nei confronti degli ultrasettantenni.

Ieri me ne è capitato un altro, nel quale un tale, decisamente più giovane, concludeva invece con l'affermazione "e ho 52 anni".

Ora, io mi rivolgo a te, Ignoto Autore dello spot e in amicizia ti chiedo: ma cosa volevi dire?
Forse che uno a 52 anni è rincoglionito e quindi se ci riesce lui....?
Forse che essendo nato quando non esistevano né netbook né smartphone, lui 52enne non è fatto per la tecnologia e viceversa?
Oh, nano, guarda che la gente a 52 anni usa il computer, frequenta i social media, guida l'auto, probabilmente a 20 anni comperava i pezzi alla GBC e si costruiva l'impianto stereo da solo. Guarda che l'iPod con cui ti balocchi da mattina a sera funziona grazie a un microprocessore il cui genitore è stato inventato da un signore nato nel '41 che oggi ha 68 anni. Vai; vai a spiegargli che seppure rincoglionito e nativo analogico, con un piccolo sforzo forse riesce anche lui a collegare il decoder senza far danno.

Sai cosa ti dico, Ignoto Autore? Ma va' a cagher.

giovedì 29 ottobre 2009

Lo stato comatoso dell'atletica italiana

Ho accettato la richiesta di amicizia su FB arrivata da WebAtletica e da qualche settimana di tanto in tanto frequento il sito. Che non è affatto tenero con l'attuale dirigenza federale, in particolare con il suo presidente Arese. E non è certo il solo.
Non so, e comunque non mi interessa più di tanto in questo momento, se quella di Arese sia stata una buona gestione.
Non so quanto le zero medaglie di Berlino siano da attribuire a colpe di questa dirigenza.
Di sicuro i motivi del tracollo sono tanti. E le giustificazioni anche condivisibili. Cominciando da una concorrenza terribile, con ben 32 nazioni a medaglia.
Va detto che se fosse arrivato un'oro - evento non così improbabile con un pizzico di fortuna - l'Italia sarebbe stata al 16° posto del medagliere, al pari con Slovenia, Croazia, Nuova Zelanda e Barbados. Un pelo dietro la Spagna. Un pelo davanti la Francia.
Tuttavia, la fortuna era girata da un'altra parte e medaglie non ne abbiamo viste.

In questi mesi diagnosi sul momento difficile dell'atletica azzurra ne abbiamo lette tante. Ma l'assenza di medaglie, fra tutti i segnali dello stato comatoso dell'atletica italiana, è forse il meno importante.
Davvero, senza necessariamente sperare nei miracoli, due o tre medaglie (con un pizzico di fortuna) sarebbero potute arrivare. E se lo fossero, non saremmo qui a piangere per il peggior mondiale di sempre.

Il segnale più deprimente è un'altro. Ne parlavo proprio ieri con un grande dell'atletica di trent'anni fa. Anni in cui le vere punte erano solo due (Mennea e Simeoni) e medaglie alle Olimpiadi ne arrivavano comunque pochine. Ma che hanno lanciato la volata ai favolosi '80, anni in cui, per dire, si vedevano podi per due o tre terzi azzurri nelle gare di mezzofondo. Anni in cui le medaglie arrivavano dalla marcia e dalla corsa lunga, dai lanci e dal mezzofondo veloce, dai salti e dalle staffette.

Cosa avevano di straordinario quegli anni '70? Ricordavamo ieri i campionati regionali lombardi: si correvano 36 serie dei 100. Sei o sette serie dei 10.000. Dodici-quindici dei 1.500. I 10.000 e i 5.000 si correvano normalmente dopo le dieci di sera. Ricordo riunioni a Merone terminate dopo la mezzanotte su una pista illuminata dai fari delle auto. E lo stesso succedeva nelle altre regioni.
Chiaro che il 99% delle migliaia di atleti che scendevano in pista o in pedana non aveva speranza alcuna di vincere non le Olimpiadi ma nemmeno il campionato regionale.
Ma c'era entusiasmo, ci si divertiva anche, e molto. E non è che l'atletica si facesse così, per gioco, solo quando non c'era di meglio da fare. C'era tanta gente che correva i 100 in 11.8 o i 1.500 in 4'20" che si allenava tutti i giorni con serietà.

Provate oggi ad affacciarvi all'Arena di Milano il giorno dei campionati regionali. Fra junior, promesse e senior si riesce a malapena a mettere insieme 10 serie dei 100 (da 5-6 atleti per serie); i 5.000 li corrono in 9, le siepi in 4. Quattro atleti nelle siepi in Lombardia? Stiamo parlando della gara frequentata da gente come Fava, Scartezzini, Gerbi, Panetta, Lambruschini, mica del lancio del cellulare o della corsa sui tacchi a spillo in via Condotti (entrambe competizioni che peraltro hanno attirato centinaia di partecipanti). Roba da gettare nella depressione anche i più ottimisti.
Questo, sì, è davvero segno della crisi dell'atletica (e anche della crisi dei tempi).

Vado a memoria, ma mi pare di ricordare che in quegli anni la Fidal contasse intorno ai 250.000 tesserati. Una media città italiana che faceva atletica. Nel 2008 erano poco più di 153.000. Dei quali circa 63.000 master. Categoria degnissima per carità ma non sono i master a determinare la qualità di un movimento, la capacità di reclutamento e in definitiva la capacità di vincere un giorno medaglie nei grandi eventi.

PS - Guardando le statistiche pubblicate dalla Fidal c'è proprio poco da stare allegri. Sebbene il calo di tesserato tra il 2007 e il 2008 sia stato modesto, le categorie junior, promesse e senior hanno perso dal 7 al 10% di tesserati.


lunedì 19 ottobre 2009

Siamo vittime dell'albitrarietà

Notiziario del mattino di Radio24.
"E ora passiamo allo sport. Giornata calcistica all'insegna delle polemiche sugli arbitraggi".
Mavalà?

mercoledì 14 ottobre 2009

Perché oggi sono un po' triste


L'ho già scritto. Ci sono alcuni giornalisti che vale sempre la pena di leggere, anche si trattasse di un commento all'elenco telefonico. Non solo perché la natura e il mestiere li hanno dotati di una bella prosa. Perché non sono banali, perché ti offrono un punto di vista diverso, perché ti fanno pensare, perché non fanno solo cronaca ma raccontano una storia, perché ci mettono un misto di cuore, di cervello, di frattaglie.
Corrado Sannucci era uno di questi. Un paio di giorni fa leggevo su Repubblica un pezzo sulla "possibile" candidatura olimpica di Hiroshima e Nagasaki. Arrivato alla decima riga mi sono detto "Ma questo è Sannucci". Ho provato a chiamarlo per dirgli quanto il pezzo mi fosse piaciuto e, poiché ciò mi avrebbe imbarazzato, aggiungerci anche un paio di fesserie. Ma il cellulare suonava a vuoto. Ho riprovato il pomeriggio del giorno dopo, ma oramai era tardi.
Come a molti, mi mancherà. Ma sono contento non solo di averlo letto ma anche di averlo conosciuto.
E' successo nel '97 ad Atene ai mondiali di atletica. Da un anno seguivo Sportline, il sito "dello sport raccontato dai protagonisti". Poco prima i marciatori, che si sentivano trascurati dalla federazione, si erano messi in silenzio stampa e parlavano solo attraverso Sportline. Va da sé che la cosa non era stata molto apprezzata dai vertici federali e non solo da loro. Corrado era quello che ogni giorno passando da Casa Italia si fermava a chiedere i pezzi scritti dai marciatori. Aveva le sue idee ma non pregiudizi, voleva capire. E mi aveva colpito per il suo prendersi piuttosto poco sul serio, qualità assai rara.
Un altro ricordo è legato a un sabato sera a Praga di alcuni anni fa. Mi ci trovavo per la maratona di cui seguivamo l'ufficio stampa. Corrado, invece, era al seguito della nazionale per una poco significante amichevole Rep. Ceca - Italia. Finita la partita mi chiama dicendo di volere intervistare Franca Fiacconi, atleta, diciamo così, controversa, che avrebbe corso la maratona il giorno successivo. Abbandono la cena pre-gara e quindici minuti dopo ci troviamo nell'hotel quartier generale della gara. Fiacconi e marito sono al ristorante, non troppo convinti di dialogare con un giornalista. Di Repubblica, poi (forse confondendolo con Corrado Zunino, che tempo prima non era stato propriamente tenereo con la maratoneta romana). L'ora successiva è stata una vera lezione di giornalismo. Finita l'intervista, per un'altra ora restiamo noi due soli, cenando a nostra volta e bevendo vino ed è l'occasione per farmi raccontare del Folkstudio, delle sue vite precedenti, per quali strade fosse arrivato fin lì. In quei sessanta minuti o poco più c'è il perché sono contento di averlo conosciuto.

domenica 11 ottobre 2009

Porca misera, c'è del fumo in cabina


Non so bene cosa sono ma se dovessi definirmi forse mi definirei "liberal" o qualcosa del genere, con qualche forzatura addirittura tollerante.
Sono convinto, ad esempio, che se uno decide di non essere fumatore per me è liberissimo di non esserlo. Non sarò certo io a convincerlo o a obbligarlo a fumare.
Esattamente come penso che chi odia le discoteche abbia tutti i diritti di non frequentarle, chi non sopporta le ostriche abbia tutti i diritti di non nutrirsene, chi non beve almeno due litri di acqua al giorno sia liberissimo di non berli, chi va con lo zoppo possa anche non imparare a zoppicare. Chissenefrega, sarà mica la fine del mondo.

Poi, chiaro, non è che si possa essere liberal a tutto tondo. Ci sono delle cose che proprio non sopporto e che proibirei senza se e senza ma. Non tollero ad esempio quelli che il sabato indossano la tuta e vanno al supermercato a fare la spesa; se poi ai piedi infilano il mocassino nero vedo poche alternative alla fucilazione sul posto. E, come tutti, penso che se:
  1. tutti avessere le stesse mie idee (che sono ovviamente giuste) e i miei gusti (che sono senza dubbio i più qualificati)
  2. le decisioni (quelle importanti che riguardano i destini del mondo, non che cravatta annodarmi al collo la mattina) potessi prenderle solo io
il mondo sarebbe un luogo assai più gradevole per viverci.

Tutto questo e anche altro pensavo leggendo la notizia del camionista multato di 300 dollari canadesi in Ontario perché sorpreso a guidare con la sigaretta in bocca (ripresa anche da Ennio Caretto sul Corriere). Mica perché nell'Ontario ci sia una legge che proibisce di guidare fumando. Nemmeno una che vieti di fumare guidando. Però ce n'è una che proibisce il fumo nei luoghi di lavoro. Per cui il solerte poliziotto che si è visto sfilare davanti il truck nella cui cabina si riconosceva chiaramente la brace di una sigaretta allegramente penzolante tra le labbra del driver non ha avuto dubbi. Si è mai visto un guidatore di truck che va a fare surf col truck? o che va a scampagnare col truck? No. Quindi costui sta senza dubbio lavorando. E la cabina, non v'è dubbio, è il posto di lavoro . Ed è scattato il multone.

La cosa è finita sui giornali e il malumore, gli interrogativo e i dubbi hanno iniziato a serpeggiare.
L'abitacolo di un tale che si sposta con la sua auto dal punto A al punto B per lavoro, è un luogo di lavoro?
E il lavoratore che un giorno decidesse di lavorare da casa, potrebbe fumare una sigaretta in tinello?
Per un camionista fa differenza se il truck è suo-suo (un padroncino) o del suo datore di lavoro?
E l'asfaltatore che lavora all'aperto? Come regolarsi?

E' che i canadesi sono un popolo normativo. Nella provincia dell'Alberta, ad esempio, è in vigore dal 2008 una legge che, tra le altre cose, vieta di fumare a meno di 5 metri dall'ingresso (e anche dall'uscita, metti che qualcuno faccia il furbo) degli edifici pubblici. Quindi capita di imbattersi in cartelli come quello qui sotto che intimano di spegnere la sigaretta (o in alternativa di attraversare la strada).


martedì 22 settembre 2009

Lutti scorrevoli

Massimo Gramellini non sempre si è d'accordo con quello che scrive, ma quasi sempre vale la pena di leggerlo. Soprattutto quando non si è d'accordo, oserei dire.
Resta il fatto che il pezzo di oggi sui funerali dei 6 soldati morti in Afghanistan è di quelli che si vorrebbe averli scritti noi.
Ma forse è solo perché agli applausi ai funerali ancora non riesco ad abituarmici.

martedì 15 settembre 2009

Essere solari oggi

Non di pannelli si parla, ma di Miss Italia.
Una volta le aspiranti miss erano tutte "solari". Col tempo hanno fatto scuola e il fastidioso disturbo si è diffusa a macchia d'olio. Credo che nel 90% dei curricula che mi arrivano la candidata si definisca "solare". Immagino intendano una cosa positiva. Bah, un giorno ne sceglierò una e in sede di colloquio mi farò spiegare cosa significa.
Poi hanno iniziato a dichiararsi impegnate in nobili cause, a partire dalla pace nel mondo. Mica bazzecole. Come non era sfuggito a Katia e Valeria.



Nel 2009 finalmente basta con la solarità e l'impegno. C'è la crisi e bisogna andare sul concreto. Senza dimenticare lo studio: va bene il rutilante mondo dello spettacolo, ma un pezzo di carta è sempre una garanzia. Per questo da grandi vogliono fare il magistrato ma sognano di condurre una trasmissione televisiva, attività per la quale si sentono un po' tutte particolarmente portate. O viceversa.
E da quando - il più delle volte dopo viaggi avventurosi - sono finalmente giunte a Salsomaggiore (le più secchione anche prima, già alle selezioni regionali) non è che sono state lì a cincischiare. Hanno dato il massimo. Si sono impegnate con tutte se stesse.
Dare il massimo?
Impegnarsi con tutte se stesse?
Oh, nane, siete a Miss Italia! Impegnate al massimo per cosa? Tirare in dentro la pancia?
IN MINIERA!

venerdì 11 settembre 2009

Mah

Ma perché i siti dei due maggiori quotidiani nazionali scelgono di ammorbare i siti medesimi con gallerie fotografiche dedicate all'arrivo di Noemi al Festival di Venezia?
E' proprio necessario?
Ma perché qualcuno invita Noemi a Venezia?
E' proprio necessario?
Ma perché è scortata dai bodyguard?
E' proprio necessario?
Ma perché non stendiamo un pietoso velo?
Ma perché non la aiutiamo a rientrare nell'anonimato?
Sarebbe necessario.

martedì 25 agosto 2009

Anche i miti crollano

I miti sono fatti apposta per crollare. Ma quando te ne crollano due in un colpo solo c'è poco da fare, dà fastidio. Soprattutto se i miti in questione sono il Rugby e l'Inghilterra.

Harlequins-Leinster, quarto di finale di Heineken Cup.
Nel rugby, un giocatore uscito dal campo non può tornare in gioco se non per sostituire un giocatore infortunato. A pochi minuti dal termine gli Harlequins sono sotto di un punto e l'unico modo per sperare di passare in vantaggio è una punizione o un drop. Ma quello coi piedi buoni è in panchina, uscito all'inizio della ripresa.
E allora cosa ti inventano questi furbacchioni degli inglesi? Ti mandano in campo il buon Tom Williams, provvisto di un sacchettino di liquido rosso. Passa un minuto e al primo contatto un po' rude - nel rugby capita - zacchete, se lo ficca in bocca.
Basta stringere un po' i denti e il gioco è fatto. Col volto ridotto a una maschera di "sangue" esce mestamente dal campo per avviarsi agli spogliatoi dove, per non farsi mancare nulla, un solerte fisioterapista gli pratica un grazioso taglio al labbro. Si sa mai che a qualcuno venga un sospetto e voglia controllare l'entità del danno. C'è niente come i punti di sutura per mettere a tacere anche i più diffidenti.
Nick Evans, il calciatore panchinato rientra in campo. Ma poiché talvolta la giustizia superiore si manifesta dove serve e senza preavviso, quei due punti sperati proprio non arrivano.
La vicenda in sé è pure divertente, anzi ci vedo anche una traccia di genialità.
Comunque da archiviare e tenere pronta per la prossima volta che un collega inglese proverà a prenderci per il culo con la vecchia storia dell'inaffidabilità degli italian.

giovedì 20 agosto 2009

(Pro)fumo nel parco

Apprendo con un misto di allegria e preoccupazione che il comune di Milano intende vietare di fumare nei parchi e giardini milanese in presenza di bambini e anziani.
Niente di deciso ancora, l'assessore Landi di Chiavenna dice che ci stanno lavorando e la cosa mi rende più sereno.
Nulla da dire per carità sul non fumare vicino ai bambini.
L'inquietante interrogativo è come sarà quantificato quell' "in presenza". E' sufficiente che ci sia un bambino o un anziano nel parco, foss'anche dalla parte opposta? Cento metri? Quindici metri?
Inoltre: a quale età il bambino smette di essere tale? E un anziano inizia ad essere tale? Conosco persone di 70 anni che se gli dai dell'anziano ti disfano.
E se uno passeggia nel parco in compagnia di un anziano al quale non dà fastidio il fumo e gli frega nulla che altri fumino, può accendersi una sigaretta senza rischio?
Ma soprattutto la domanda che mi toglie il sonno è: un anziano potrà passeggiare solitario nel parco fumando una sigaretta?
Già me lo vedo il vigile:
"Spenga subito quella sigaretta, lo sa che non si può fumare in presenza di un anziano?"
"E dove sarebbe l'anziano?"
"Lei"
"Ma mi faccia il piacere!"
"No il piacere me lo faccia lei!"
"Ma vada a lavorare!"
"Tenga giù le mani!"
"Io le mani le metto dove voglio. Lei non alzi la voce"
"...."
Vorrò esserci.

sabato 1 agosto 2009

Quelle che fanno perdere la Fede 2

Il titolo più ricorrente è qualcosa di questo genere. "Italia quarta nonostante una strepitosa Pellegrini che risale dall'ottavo al quarto posto".
Insomma, a quanto par di capire la Pellegrini ha fatto il fenomeno, ma ahime nulla ha potuto per rimediare alla pochezza delle "altre", le pippe. Quelle che non erano state capaci di lanciare il suo (della Fede) crawl trionfale in posizione migliore di un malinconico ottavo posto.
Allora mi è venuta voglia di confrontare i primati personali delle 4 ragazze con il tempo nuotato in staffetta. Lo so che i soli tempi effettivamente confrontabili sono quelli della prima frazionista, Renata Spagnolo ma l'esercizio è ugualmente interessante.

Spagnolo ha nuotato 0.48 più lento del suo personale, ma 0.12 più veloce del suo stagionale
Filippi ha nuotato 1.45 più veloce del suo personale del 2008
Carpanese ha nuotato 1.95 più veloce del suo personale
Pellegrini ha nuotato 0.47 più lento del suo personale (il mondiale del giorno prima).

In percentuale:
Carpanese -1,41%
Filippi -1,22%
Spagnolo +0,41% (sul personale)
-0,10% (sullo stagionale)
Pellegrini +0,42%

Pare di intuire che chi ha nuotato meglio, in relazione alle sue capacità, sia stata, ma guarda un po', Alice Carpanese.

E che un titolo più corretto sarebbe potuto forse essere qualcosa del tipo: "Spagnolo, Alessi e Carpanese si migliorano, ma non basta per il bronzo".


venerdì 31 luglio 2009

Quelle che fanno perdere la Fede

La staffetta 4x200 stile femminile l'hanno nuotata in 4. Due famose, si chiamano Alessia FIlippi e Federica Pellegrini, due meno. Se la staffetta fosse stata composta da una Pellegrini (o una Filippi) e tre cloni, probabilmente avrebbe stravinto. Invece no. C'erano anche le due meno famose. e quel che è peggio anche meno forti.
Le ragazze sono arrivate quarte, mica un risultato da buttare. Certo, molti si aspettavano un''altra bella medagliona pesante, come se i primati personali non contassero.
Guardavo le staffettiste dopo la gara, ospiti della Caporale in zona mista e stavo male per le due meno famose che già si sentivano come tutti le avrebbero fatte sentire di lì a poco: quelle che per la loro incapacità hanno impedito alla Fede nazionale di arricchire il suo bottino con altro metallo prezioso.
Poi interviene Tomba, ospite in studio da Mazzocchi. Tomba è un signore che sulle piste c'è stato per tanti anni e uno si aspetterebbe un minimo di comprensione, magari di delicatezza, di signorilità. Invece cosa dice l'Alberto? "Ciao Fede, ciao Alessia. Coraggio, non è andata male, quarte è un bel risultato".
Oh, Alberto, guarda che ce ne sono 4 di ragazze in costume laggiù! Posso anche ammettere che ti ricordi il nome delle due famose e, così d'acchito, ti sfugga quello delle altre due. Ma un "Ciao ragazze. Coraggio, non è andata male..." non sarebbe costato un grande sforzo e sarebbe stato più carino. O no?
Incidentalmente le due meno famose si chiamano Renata Spagnolo e Alice Carpanese.

martedì 7 luglio 2009

Fair Play, Monti e la vela

Ricordare Eugenio Monti mi fa tornare alla mente un episodio delle scorse Olimpiadi.
Vela, medal race dei 49er. I fratelli Sibello in lotta per una medaglia.
L'equipaggio danese in mattinata disalbera e partecipa all'ultima regata con la barca messa a disposizione dai croati. I danesi Warrer e Kirketerp Ibsen vincono l'oro. I fratelli SIbello sono quarti.
Ricorso di Italia e Spagna, poi bocciato dal Tas. E i nostri restano quarti.
I fratelli Sibello avevano probabilmente mille ragioni, come hanno spiegato in una lettera aperta, forse il fatto che la barca fosse croata e non danese ha veramente concesso ai danesi un vantaggio improprio.
Forse.
Resta, ripensando a Monti, un lieve senso di disagio.

domenica 5 luglio 2009

Fair Play

Torno da alcuni giorni trascorsi a Cortona per il Premio Fair Play Mecenate (premetto che si tratta di un nostro cliente per il quale seguiamo l'ufficio stampa e aiutiamo per il marketing).
L'edizione di quest'anno era dedicata alle leggenmde olimpiche degli sport invernali, da Cortina '56 a Torino 2006.
Parlando di fair play e di sport invernali il pensiero non può non correre a Eugenio Monti. Per chi non lo sapesse - e a differenza di quanto mi aspettavo, sono in molti a non saperlo - Monti è il protasgonista dell'episodio forse più eclatante e famoso di fair play. Oltre che vincitore di due ori ('68), due argenti ('56) e due bronzi ('64) olimpici e 9 ori e un argento mondiali nel bob a 2 e a 4.
Ebbene, a Innsbruck '64 l'equipaggio inglese del bib a 2 ruppe un bullone. Monti lo smontò dal suo bob e lo cedette agli inglese, che poi vinsero l'oro. Pare che alle pesanti critiche della stampa Monti abbia risposto in questo modo "Non hanno vinto l'oro perché gli ho ceduto il bullone. L'hanno vinto perché sono scesi più veloci".
Una bella lezione, non c'è che dire.
A ritirare il premio in ricordo di Euigenio Monti c'erano due suoi compagni del bob a 4 oro a Grenoble '68, Mario Armano e Luciano De Paolis (quest'ultimo oro anche nel bob a 2). E' stato bello vedere l'incontro dei due che non si incontravano da anni. Felici di essere di nuovo in quello che era stato il loro mondo per tanto tempo. E probabilmente anche di essere, sia pure per il tramite del loro pilota, loro stessi ricordati e protagonisti della premiazione, una volta tanto.